08 novembre 2010

8 NOVEMBRE:CIAO CAPITANO!

IL MIO RICORDO DEL NOSTRO CAPITANO:GIORGO FERRINI (di oSKAr)
8 NOVEMBRE

Ricordo quasi tutto di quei giorni. Era l’autunno del 1973. Ero piccolo, ancora più di adesso. Ero appassionato di calcio e passavo tutto il tempo libero dalla scuola, al "prato" di via brissogne a far partite e partite con altri bambini oppure davanti l’officina dove lavorava mio papà a calciare contro il muro. Proprio davanti all’officina un signore molto simpatico con una cartellina sottobraccio e lo sguardo rassicurante, mi tolse il pallone e urlò dentro l’officina a mio papà: "Franco, to fieul al a sempre il balun tai pè (mi scuso perché non so come si scrive, vuol dire che avevo sempre il pallone nei piedi..)", mi chiese quanti anni avevo e quando gli dissi 8 si rivolse ancora a mio papà dicendogli "Mandamelo a fare un provino". Quel signore era colui che leggeva i numeri del contatore Enel ma anche uno degli allenatori delle giovanili del Toro, il sig. Dalla Riva. Mio papà approfondì l’argomento e mi chiese se "volevo giocare nel Toro", figurarsi se non volevo.. il martedì seguente eravamo al campo Lancia di piazza Robilant, la mia categoria era allenata dal sig. Marchiò, quando dalla Riva mi presentò gli disse "si chiama Giammarinaro.." "Ah, come Tony, ma l’è parent?" chiese Marchiò riferendosi ad Antonio Giammarinaro, centrocampista granata delle giovanili impiegate dopo la tragedia di Superga "No" rispose Dalla Riva e Marchiò sorrise "beh, potrebbe essergli zio alla lontana.." dopo la partitella, il sig. Marchiò chiamò il mio nome "Giammarinaro.. ci vediamo venerdì e fammi parlare con tuo padre". Mi avevano preso. A quell’età il talento è ancora tutto da scoprire, ciò che conta è avere una certa padronanza del pallone e un po’ di personalità e ne avevo da vendere. Grazie al mio "tocco" di palla e soprattutto al mio cognome, diventai presto il capitano dei pulcini del Toro. Il sig. Marchiò affermava in giro che ero nipote di "quel" Giammarinaro e mio padre assentiva divertito.
Facevamo due o tre allenamenti alla settimana e spesso una partita il sabato e in primavera vari tornei. Eravamo troppo piccoli per fare campionato. Ci allenavamo 2 volte la settimana fisse al lancia e una poteva essere anche al Filadelfia. Allenarsi al fila era il momento più atteso da tutti noi pulcini. Nel "tempio" (ma allora ero troppo piccolo per considerarlo tale) si allenavano le categorie giovanili più grandi, la "beretti", la "primavera" e soprattutto la prima squadra!!. C’erano i tifosi, macchine belle all’interno del cortile che facevano scricchiolare la ghiaia ogni qual volta entravano dentro. Gli spogliatoi erano all’interno del campo "principale" e per andare al campo dei "giovani2 dovevamo attraversare tutti gli stanzoni e il cortile. Il rumore dei tacchetti era una costante e gli "incroci" con i giocatori delle varie categorie erano continui. Anche con i campioni della prima squadra. Il mio vicino di casa, massimo, allora quasi trentenne, mi accompagnava sempre volentieri, sia allo stadio in maratona con lui, che agli allenamenti, soprattutto se erano al Fila.
Avevo la mia maglia d’allenamento Fabra, la borsa e il rimborso di 3500 lire al mese che a noi piccini consegnava direttamente il sig. Borgis al campo in presenza dei nostri papà (mamme non ce n’erano quasi mai, ricordo solo la signora Daidola).
Sinceramente non ricordo bene tutti i miei "compagni" di squadra, ma tanti sì: il portiere era Morra, biondo e ultracorazzato con guanti e ginocchiere, il libero all’antica era Ripoli, alto e determinato, il terzino sinistro era Fossati, proprio il nipote di Natalino, poi ricordo l’ala destra Garra, il mio collega mezzala (lui a destra e io a sinistra) Anzil, il fuoriclasse (per l’età) Bicio Daidola e poi nessun altro. Nei mesi e anni a seguire, arrivarono campioncini come Bertoglio, Esposito, Albasini, Frara, falcone o gli incredibili Coppola e Comi. Ma nel mio periodo di "capitanato" la squadra pulcini era quella sopracitata. Al Filadelfia ci allenava spesso anche il sig. Naretto, oltre ai fondamentali ci spiegava un po’ di tattica, la famosa "treccia" che ci sembrava difficilissima da fare. I più grandicelli erano allenati dal sig. Dalla Riva oltre che da Naretto, tra loro c’erano Tosoni e Colapietro che scintillavano e di lì a poco Cravero diventò un "idolo" dei giovani granata.
La cosa più attesa e ambita quando eravamo al Fila era incontrare i calciatori della prima squadra. Quando si allenava il ’62, c’era sempre Sattolo che osservava le evoluzioni del figlio. Ma capitava regolarmente che altri "titolari" si fermassero a guardare dalla rete del "campetto". Per noi i calciatori erano dei veri e propri adulti, dei "signori". Ai calciatori si da sempre del "tu", ma se li incontri di persona e hai 8 anni le cose cambiano. I tifosi aspettavano sempre il mister Giagnoni che parlava con tutti. L’affetto sommergeva Pulici, arrivava sempre a piedi e c’era il "codazzo" dietro di lui all’arrivo e alla "partenza". Grazie alle figurine Panini, io riuscivo a riconoscere tutti i signori calciatori (allora la TV non trasmetteva tutto sto calcio come adesso e a fare il raccattapalle iniziai più grandicello). Massimo approfittava della mia presenza per mano per scambiare due chiacchiere con vari giocatori. I suoi favoriti erano Agroppi e Rampanti, perché facevano sempre commenti sulla partita della domenica molto volentieri.
Fra tutti i calciatori però, il più riverito e rispettato, colui che dava realmente più soggezione era il "capitano", Giorgio Ferrini. Io ero un gagnetto e vedermelo passare davanti alto, biondo e dallo sguardo sempre concentrato mi dava un senso di soggezione infinito e nel contempo di sicurezza. Per noi, il capitano Ferrini era capitano di tutto il Toro e quindi di tutte le squadre del toro, giovanili comprese. Quando anni prima chiesi a mio papà l’utilità del capitano lui mi rispose "è quello che può parlare con l’arbitro e che raddrizza chi fa il furbo dell’altra squadra e far correre i compagni quando non s’impegnano" " Ma può picchiare gli avversari?" chiesi "No, non deve farsi vedere dall’arbitro" "E come fa?" mio papà non trovava le parole giuste e semplificò "Come fa il nostro capitano Ferrini, guai a non impegnarsi o a fare i furbi con i giocatori del Toro, ci pensa lui!!". Io mi figuravo Ferrini proprio come poi lo vidi di persona. Enorme, forte e fiero, sicuro che non sorridesse mai che difendesse tutti i giocatori del Toro. Quando diventai capitano dei pulcini dissi al sig.Marchiò "Sig.Marchiò ma io dovrei fare come Ferrini?", "Come Ferrini non c’è nessuno" mi rispose con un’aria quasi sconsolata. Raccontai a mio papà e lui mi spiegò che ero piccolo e che ai pulcini non serviva un "condottiero" come era Ferrini, ma solo un bambino un po’ sveglio e con un po’ più di dialettica (semplifico i termini per raccontare, mio padre il termine "dialettica" non lo usava, ovviamente..). Almeno tre volte mi passò davanti e gli dissi "Buongiorno signor Ferrini" lui mi rispose una volta "Buongiorno" e le altre muovendo la testa.
Caso volle che nella primavera del 1974, facendo lo scemo con una bottiglietta, caddi e mi tagliai il tendine della gamba destra. Fu terribile. Venni operato e tutto questo proprio quando il Torino mi stava per dare in prestito d’uso le mie prime scarpe da calcio, fatte su misura dal calzolaio di "Pantofola d’oro". Io piangevo tanto e volevo comunque le scarpe. Mio papà telefonò al sig. Marchiò e chiese se poteva ritirarmele lo stesso, lui disse di andare al Fila (e non al Lancia), dove c’era il sig :Borgis che le aveva pronte in magazzino.Era un giovedì, mio padre mi teneva sollevato per non farmi toccare la ghiaia. Andammo da Borgis che mi diede le mie splendide scarpe nuove. E io non potevo provarle, avevo la gamba col gambaletto di cartone!! Mentre stavamo per uscire dal Fila, incrociammo lui, il capitano Ferrini. Aveva un bambino per mano anche lui. Ci guardò incuriosito e disse "Ma si è fatto male giocando?" "No, si è tagliato a fare al "fol" (lo scemo) con una bottiglietta" " Non bisogna giocare con i vetri, noi calciatori dobbiamo stare attenti a tutto sai?" "lo disse con un fare burbero e io pensai fosse davvero arrabbiato. Già temevo di non poter più giocare a calcio, le sue parole mi spaventarono e scoppiai a piangere.. "Sa, lui è il capitano dei pulcini.." cercò di calmierare mio papà, Ferrini, lasciò la mano del bimbo (credo fosse Amos), mi tirò su in alto sollevandomi dai fianchi e mi disse con un sorriso che da lui mai mi sarei aspettato: "Ehi piccolo, guarda che i capitani del Toro non piangono mai!!". "Atterrai" con la felicità che mi esplodeva dentro, mi passò ancora la mano sui capelli e riprese il suo bimbo per mano e disse guardando mio padre e strizzando l’occhio "Mi raccomando..".
Non mi rendevo conto di cosa avevo appena vissuto. Ora sì. Non servono altre parole.
A 30 anni dalla morte voglio ricordare il nostro capitano, unico capitano "di vita" della nostra storia insieme a Valentino.
Mi ritengo fortunato di averlo conosciuto di persona. Ciao sig. Ferrini.